Riflessioni sulla sconfitta
Ogni riferimento a Super Bowl realmente esistenti è puramente casuale
Parlare della sconfitta della propria squadra non è mai una cosa bella né facile, specialmente quando la sconfitta arriva in finale e in quell’evento che mediaticamente è il più importante a livello mondiale e il più seguito dell’anno. Se poi la sconfitta arriva in una partita giocata bene e dominata per un intero tempo, la difficoltà è ancora maggiore. Di certo il calibro dell’avversario non aiuta a migliorare la situazione, anche perché quando arrivi in finale sai già che affronterai un’altra squadra fortissima.
E allora di cosa parliamo stavolta? Molto semplice: di come affrontare e come non affrontare una sconfitta.
Naturalmente in questa newsletter tralascerò gli aspetti strettamente sportivi, che affronterò in altra sede.
La prima tentazione del tifoso è sempre quella di dare la colpa agli arbitri, che non hanno chiamato quel fallo dell’avversario o hanno dato fallosa un’azione nostra che potevano non chiamare. Ma questo è - anche se nessuno lo ammetterà mai - un ragionamento complottista che non aiuta e che, normalmente, non interessa ai giocatori in campo. A meno che non sia evidente che l’arbitro non è imparziale (chi ricorda l’arbitraggio di Moreno con l’Italia?) bisogna considerare che l’arbitro è umano e come tutti può sbagliare. Quello che bisogna fare è essere più forti degli errori arbitrali (e chiedere alla propria squadra di esserlo), anche perché in ultima istanza si troveranno con tutta probabilità errori in entrambi i versi. Naturalmente esercitarsi a questo porta a un’attitudine positiva anche al di fuori dello sport, un’attitudine a non fermarsi davanti a cose che sembrano messe lì apposta per bloccare i nostri progetti.
Un altro obiettivo dei tifosi è l’allenatore. poco importa se ha portato la squadra in finale, se il suo gioco tiene la squadra da anni ai massimi livelli, se fino a pochi secondi dalla fine ti stava dando il risultato tanto atteso: hai perso, quindi è colpa sua perché non sa cambiare o perché cambia radicalmente, perché usa troppo quel giocatore o perché non lo usa mai. Ha torto a prescindere, insomma. Qui c’è da capire innanzitutto quale sia la sua filosofia di gioco, e ammettere che tutto sommato è una buona filosofia. Magari non è la TUA filosofia, ma ti ha portato lì, ti sta facendo rimanere sotto i riflettori. Purtroppo alla fine vince solo uno, quindi una buona filosofia potrebbe non bastare.
C’è poi il giocatore che in quella stagione non ha dato grande prova di sé: potrà anche giocare una grande partita, ma se fa un errore il tifoso medio è pronto a dire “ecco, adesso lo riconosco!“. Ma perché? Perché dovrebbe essere quella scarsa la vera versione del giocatore? Perché non valutare che in questa partita ha giocato bene? Il suo errore è fatale o può essere superato? Se si guarda uno sport di squadra, molto difficilmente meriti e demeriti potranno ricadere su un solo giocatore. Anche in questo caso, facendo diventare questo atteggiamento una buona prassi saremo più obiettivi nell’analizzare chi collabora con noi e se qualcuno commette un errore sapremo cercare il modo di superarlo con la collaborazione del resto del team.
Inoltre potrebbe essere additata anche l’assenza di un giocatore come causa della sconfitta: per scelta tecnica, infortunio precedente o durante la partita, magari per squalifica, manca un giocatore particolarmente forte e il sostituto non si dimostra all’altezza. La situazione è simile a quella del caso precedente, ma con un elemento in più: next man up. La squadra deve essere in grado di giocare allo stesso livello anche con la riserva e alla riserva si deve chiedere di non far rimpiangere il titolare. È evidente che se è una riserva un motivo ci sarà, ma in quel momento è in campo e il fatto che sia una riserva non conta più. Quindi se per caso in un progetto abbiamo un compito che deve essere riassegnato, non ci dovrà interessare che chi lo riceve ha meno esperienza, ma ci dovremo fidare del fatto che farà tutto ciò che è nelle sue capacità per arrivare al risultato desiderato.
È anche possibile che un intero reparto non giri: se l’attacco non segna o la difesa lascia troppi spazi, ben difficilmente la nostra squadra vincerà. Purtroppo la giornata storta può capitare a tutti, oppure un reparto può essere davvero costruito male (ma allora come ha fatto la squadra ad arrivare fino a lì?), ma la forza di una squadra sta anche nel sopperire con un reparto alle carenze di un altro. Certamente questo causerà particolare stanchezza nel reparto che si prende la squadra sulle spalle - col forte rischio di diminuire l’efficienza del proprio lavoro - ma se l’obiettivo è chiaro per tutti, tutti faranno quello che è necessario IN QUELLA SITUAZIONE per arrivare in fondo.
Infine sono talvolta additati fattori esterni: il campo da gioco o di allenamento, il pubblico, eventi accaduti nei giorni precedenti la partita. Il ragionamento è lo stesso fatto per l’arbitro, con in più il fatto che siamo ancora di più nel campo delle supposizioni.
Naturalmente se si accavallano diversi di questi fattori, raggiungere la vittoria è tutt’altro che scontato, ma una mentalità vincente è quella che mantiene il sangue freddo e la capacità di esaminare ogni difficoltà che si incontra per superarla. Se poi si perde ci potrebbe essere una spiegazione più semplice: l’avversario è più forte. Fisicamente, tecnicamente o mentalmente, ma se vince è più forte e alla fine merita i complimenti e la stretta di mano.
Nell’ultimo episodio di Epsilon parlo di cuccioli di squalo e paperi saccenti… ascoltatelo!